Dal latte al formaggio: la caseificazione
La caseificazione è uno dei processi tecnologici più sfruttati fin dall’antichità e caratterizza uno dei momenti più complessi e cruciali della trasformazione del latte in formaggio.
La coagulazione rappresenta il passaggio del latte dallo stato di sol a quello di gel ed è dovuta alla destabilizzazione irreversibile delle micelle caseiniche, aggregati composti dalla frazione proteica e dalle sostanze minerali del latte.

L’aggiunta di caglio nel latte permette questa destabilizzazione grazie a due particolari enzimi, la chimosina e la pepsina: è il momento della coagulazione, che ha come risultato l’aggregazione in un complesso insolubile detto “cagliata”.
Questo è uno dei momenti più importati di tutto il processo di lavorazione del latte in formaggio, in cui l’esperienza del casaro fa la differenza al fine di ottenere una corretta caseificazione.
La valutazione empirica del processo di coagulazione del latte, valutata dal casaro stesso introducendo la mano nella massa, si può racchiudere in due parole: attitudine casearia.
Come si misura l’attitudine casearia: il latto-dinamogramma
L’attitudine casearia misura, dunque, un passaggio fondamentale nella trasformazione del latte in formaggio, ovvero la coagulazione. Può essere definita, quindi, come la capacità del latte di reagire con un coagulante e di formare una cagliata di consistenza idonea entro i tempi ottimali per la lavorazione.

L’esperienza del casaro nella valutazione di questo procedimento trova riscontro in laboratorio nel lattodinamografo, uno strumento elettro-meccanico costituito da un pendolo che permette di registrare le variazioni di un campione di latte di 10 ml a 35°C addizionato con caglio in quantità nota. Si ottiene così un tracciato a forma di campana, detto lattodinamogramma, da cui si possono ricavare informazioni utili alla stima della capacità coagulativa del latte, quali:
- R, tempo (minuti) di coagulazione: tempo che intercorre tra l’aggiunta del caglio e l’inizio della variazione della viscosità del latte, che determina graficamente l’apertura del tracciato;
- K20, tempo (minuti) di rassodamento del coagulo: rappresenta il tempo necessario al coagulo per raggiungere una resistenza meccanica tale da determinare sul tracciato un’ampiezza di 20 mm;
- A30, consistenza del coagulo (mm): consistenza raggiunta dopo 30 minuti dall’aggiunta del caglio.
I primi studi sull’attitudine casearia risalgono ormai a 40 anni fa e i primi in grado di descrivere i parametri per definire il comportamento ottimale del latte durante il processo di coagulazione furono Zannoni e Annibaldi nel 1981, secondo i quali un latte ottimale avrebbe dovuto coagulare entro un range di 11,5-18 minuti ed avere un tempo di rassodamento tra i 9 e i 15 minuti. In quell’occasione, i due autori lasciavano in sospeso, però, delle importanti domande, che avrebbero trovato risposta solo in studi successivi: da dove proviene la variabilità del latte per questi parametri?
La situazione attuale
Prima di scoprire cosa influenza l’attitudine casearia, è bene fare una panoramica sulla situazione attuale del latte. In funzione dei 3 parametri descritti (R, K20 e A30) si può differenziare il latte in diverse classi di attitudine alla caseificazione, comunemente dette LDG A, B, C, D, E, F. La classe LDG A è la classe di riferimento, con un’ottima attitudine casearia.ile a molteplici aspetti, vediamo ora quali.
Sulla base delle tre caratteristiche di coagulazione del latte, ogni campione viene fatto rientrare in uno dei seguenti tipi lattodinamografici:

- latte tipo A: è il latte che ha un comportamento ottimale;
- latte tipo B: la fase iniziale della coagulazione è lenta;
- latte tipo C: la cagliata non raggiunge una sufficiente consistenza;
- latte tipo D: la cagliata non raggiunge una sufficiente consistenza;
- latte tipo DD: la cagliata è molto veloce e si produce un coagulo molto consistente;
- latte tipo E: può essere considerato una variazione peggiorativa del tipo A. La cagliata è lenta ed il coagulo poco consistente;
- latte tipo F: può essere considerato una variazione peggiorativa del tipo E. La cagliata, se avviene, è molto debole.ediamo ora quali.
Secondo un primo studio effettuato nel 1998 dal Consorzio Provinciale Zootecnico Lattiero-Caseario di Vicenza, in occasione del quale è stata realizzata la mappatura di diversi allevamenti da latte nel territorio di Vicenza per un totale di 4916 campioni, un quarto del latte individuale era caratterizzato da un lattodinamogramma non ottimale alla caseificazione.
Questo aspetto è stato confermato anche da Cassandro e Marusi (2001), attraverso uno studio quinquennale condotto presso un’azienda di Parma, in cui la frequenza del latte scarsamente caseificabile raggiungeva ben il 36,8%: più di un terzo dei campioni analizzati!
Anche Sandri et. Al. (2001) testimoniano un progressivo deterioramento dell’attitudine casearia del latte, imputabile a molteplici aspetti, vediamo ora quali.

Cosa influenza l’attitudine casearia
Ad influenzare le caratteristiche casearia del latte intervengono diversi fattori di varia natura. Innanzitutto, lungo i diversi stadi fisiologici della bovina si misurano importanti variazioni. Oltre che età e ordine di parto, sono estremamente significativi i giorni dal parto, come mostrato in tabella (Ikonen et. Al., 2004). Tendenzialmente il latte di bovine ad inizio lattazione non raggiunge una consistenza ottimale, mentre a fine lattazione la coagulazione risulta molto lenta.
Anche l’ambiente e le scelte gestionali si sono rilevate importantissime: la presenza di mastiti e altri processi infiammatori sono correlati negativamente, così come un elevato contenuto di cellule somatiche, tabella.
Ma l’aspetto più importante che influisce sull’attitudine casearia è la genetica. De Marchi et al. (2008) e, più recentemente, Varotto et al. (2015) hanno evidenziato che esiste una variabilità tra razza mentre Cassandro et al. (2008) e Tiezzi et al. (2013) hanno rilevato un’importantissima variabilità genetica additiva entro razza, aspetto che già Cassandro e Marusi nel 2001 avevano evidenziato. Vediamo ora nel dettaglio gli aspetti genetici che influenzano l’attitudine casearia del latte.

Aspetti genetici dell’attitudine casearia
L’elevata intensità di selezione che vede come protagonista la razza Frisona ha fatto sì che questa razza, estremamente produttiva, si collochi tra le peggiori razze per attitudine casearia (Malacarne et.al., 2006; Chiofalo et al., 2000; De Marchi et al., 2007). Questo è dovuto non solo alle varianti proteiche e ai diversi parametri di qualità del latte che sono in grado di influenzare la caseificazione, ma trova collegamento anche con le minori fertilità e fitness della razza bianco-nera.
Il progetto BullAbility (2008), nato da una forte collaborazione tra Intermizoo e il Dipartimento di Scienze Animali dell’Università di Padova con referente il Prof. Martino Cassandro, ha permesso di fare ulteriori considerazioni sugli aspetti genetici che influenzano l’attitudine casearia. In particolar modo, è stato messo in evidenza la frequenza di LDG di tipo A in funzione della K-caseine: tra i tori le cui figlie sono state valutate, si misura che il latte classificato come LDG A ricorreva per il 68% nei tori BB, 62% nei tori AB e 53% nei tori AA.



Inoltre, nello stesso studio, sono state quantificate le correlazioni tra R e A30 e le altre caratteristiche del latte, come riportato in tabella. In particolar modo vi è un’importante correlazione tra la consistenza del coagulo A30 e il contenuto percentuale di proteina e caseina e l’acidità misurata in SH°.
Fortunatamente, la variabilità entro razza nel caso della Frisona rimane comunque elevata, così come l’ereditabilità dei parametri dell’attitudine casearia R e A30, tendenzialmente superiori all’ereditabilità di altri parametri produttivi come quantità, componenti, acidità del latte e cellule somatiche, come evidenziato in tabella (Ikonen et al., 2004; Cassandro et al., 2008; Vallas et al., 2010). Questo permette, attuando consapevoli piani di selezione, di far fronte al progressivo deterioramento dell’attitudine casearia del latte di cui siamo spettatori da ormai due decenni.
Perché selezionare per l’attitudine casearia
Una buona variabilità genetica all’interno della popolazione Frisona ed una ereditabilità medio-alta permettono, dunque, di attuare un miglioramento per le caratteristiche di attitudine casearia anche nella razza bianco-nera con degli obiettivi tangibili nel raggio di poco tempo. In funzione delle considerazioni appena fatte, lavorando su più fronti quali una corretta gestione aziendale e sanitaria delle bovine e un’attenta selezione in funzione dei parametri di coagulazione del latte, saremo in grado di far fronte a questa importante perdita tecnologica di una delle materie prime che caratterizza da secoli la tradizione del nostro Paese.
In Italia, infatti, ben il 75% del latte prodotto viene destinato alla caseificazione e da sempre si investe nella ricerca di una migliore qualità del prodotto finale. Selezionare la propria mandria per una corretta attitudine casearia permette di produrre un latte tecnologicamente più idoneo alla caseificazione, non solo dal punto di vista quantitativo per una maggiore resa, ma anche da un punto di vista qualitativo (migliori proprietà organolettiche) e ambientale, per una filiera nel complesso più efficiente.
La bibliografia può essere consultata qui.
Qualsiasi informazione su Pro Caseus e l’attitudine casearia può essere richiesta inviando una e-mail a info@intermizoo.it